“Gust” , fratello del nonno di Achternbusch già presente nel romanzo “La battaglia di Alessandro” (1971) diventa protagonista dell’omonimo monologo teatrale (1979). Gust, vecchio contadino bavarese, racconta fatti della sua esistenza con lucidità ed incertezza a Lies sua seconda moglie morente. Il vero dramma è questa donna che muore. Muore come un vitello, come un animale da cortile. Gust le è accanto, spietato e crudele: “ Facciamoci una presa, tanto per la Lies non c’è più niente da fare...”. A suo modo tenero, impotente:” Hai caldo, ti apro la finestra, la porta... c’è un SignoriDDIO e ti devi tirare su e stare dritta!”. Le api, la trebbiatura, il tetano, Hitler e la guerra compongono questo puzzle di ricordi gridati, sussurati, annegati nel delirio di un’esistenza semplice, tragicamenta indimenticabile. Se Gust non parlasse vivrebbe in un terrificante silenzio.
Immerso in un campo di gerbere a tutto palco, Gust racconta. Lies, la moglie morente giace tra i fiori non vista e per l’intera rappresentazione se ne ascolterà il respiro. Nella luce espressionista si compie il dramma.
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